Sensibilizzare le aziende sulla disabilità: perché?

Avendo alle spalle qualche decennio di esperienza in grandi realtà imprenditoriali, posso affermare, con cognizione di causa, che la formazione manageriale, intesa come strumento per migliorare le soft skills, è di frequente vista come una perdita di tempo, una sorta di “scippo” alle ore produttive, piuttosto che un investimento nella cultura aziendale.

In alcuni casi, le imprese pianificano del training, prevalentemente rivolto al management, su tematiche che riguardano il problem solving, la customer satisfaction, la resilienza, argomento attualissimo e per certi versi “trito e ritrito”, e altre tematiche simili. Organizzano meeting, normalmente a cadenza annuale, ai quali invitano una persona popolare per dare “peso” alla giornata e offrire un “assaggio” sulla diversity. Che va più che bene, sia ben inteso, ma si tratta di iniziative che, se non inserite in un piano strutturale, risultano poco efficaci nel medio lungo termine.

Concepire dei veri e propri piani di training su diversity e disability è tutt’altro che semplice e comporta un impegno non indifferente nella costruzione degli stessi, partendo, se possibile, da un’analisi dettagliata della situazione aziendale, un focus sul tessuto umano che compone l’impresa.

In questo modo è possibile tarare gli interventi formativi in modo appropriato e consentire alle persone di iniziare un percorso di crescita culturale.

Vi domanderete: perché farlo?

Perché riconoscere le persone per quello che sono, con pregi e difetti, imperfezioni, anormalità, qualità, potenzialità, competenze, abilità e disabilità, ci permette di vivere meglio. Non solo in ambito professionale ma in linea generale!

Per questo, parlare di disabilità ci deve forzatamente portare ad un concetto semplice e per certi versi disarmante: nessuno può dichiararsi escluso dal tema, perché siamo tutti disabili.

Mi spiego meglio: nessuno può definirsi abile nello svolgere qualsiasi tipo di attività: non è possibile, ed è evidente. Questo ragionamento deve condurci a comprendere che le nostre relazioni saranno tanto migliori quanto saremo in grado di vedere gli altri con uno sguardo non condizionato da stereotipi e pregiudizi.

A fronte di questa necessità, investire in un training che permetta alle persone di spostare il proprio punto di vista e cambiare atteggiamento, può diventare la chiave di volta all’interno delle organizzazioni di lavoro.

E, se il training consente di confrontarsi con persone che vivono quotidianamente una condizione specifica, diventa meno complicato capire e mettersi nei panni di chi ci racconta la propria esperienza di vita.

Solo così potremo darci la possibilità di valorizzare le persone per quanto sono in grado di fare, uscendo da un’osservazione che ci porta a vederne quasi esclusivamente i limiti, precludendo la relazione professionale e, di conseguenza, perdendo l’opportunità di un percorso che arricchisce nella sua valenza umana.

08 Febbraio 2021

Fonte: Abile Job

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